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Claudio Maria Lerario, Giulia Zhang
Testi
Claudio Maria Lerario, Giulia Zhang
Dettagli
Prefazione di Giulia Zhang ― Le parole fanno parte della nostra quotidianità in modo naturale, scontato, che quasi ci impedisce di riflettere su quello che realmente significano. Ma se analizziamo le parole utilizzate da una persona, o da una comunità, possiamo comprenderne meglio l’essenza.
In norvegese esiste una parola — intraducibile in altre lingue — che indica l’euforia che si prova quando ci si sta innamorando. Un turbinio di emozioni, sensazioni, paure, sentimenti, racchiuso in una sola parola: “forelsket”.
A volte, si sa, è una sensazione effimera e passeggera. Non qui: quando sono arrivata a Isegran mi sono resa conto che ogni membro di questa piccola comunità si sente “forelsket” ogni giorno, anno dopo anno.
Qui, ogni albero tagliato, ogni martellata, ogni cucitura, ogni pennellata è un atto di passione, una dimostrazione di un lavoro ben fatto, un atto di amore verso le barche. Quindi, verso il mare e l’umanità che Lui unisce.
Le barche di Isegran sono grandi e pesanti. Manovrarle richiede esperienza, sapienza marinara e forza fisica. Richiede la collaborazione di un equipaggio che sa cosa fare. Ma la fatica viene ricompensata dall’odore del mare che riempie le narici e si appiccica sulla pelle.
I bambini, felici, si arrampicano sulle vele. Ragazze e ragazzi più grandi salgono più in alto, sul sartiame degli alberi. Il vento, sempre più forte, scompiglia i capelli. Tutti hanno quello sguardo tipico di chi si sente libero di volare.
Il mare ingrossa. Sono tutti tranquilli. Sanno che è soprattutto quando — come avrebbe detto Ragnar Lothbrok — ”il dio Thor batte il suo martello sull’incudine”, che la nostra barca ci abbraccia, ci protegge.
E, mentre lei affronta impavida le onde, noi ci fidiamo. Ci fidiamo di lei ma anche di chi l’ha progettata, costruita, riparata, lavorando con grazia. Ci fidiamo di Isegran, la comunità che l’ha ospitata e accudita.
E, quando cala la notte, dopo essere arrivati con sicurezza in una baia protetta, ci lasciamo cullare dolcemente dallo sciabordio del mare che accarezza lo scafo. I norvegesi hanno una parola — anch’essa intraducibile — per descrivere questo suono: “sjybardurn”.
Anche Lei, la nostra barca, necessita di riposo. Guardare una barca riposare è come guardare il proprio innamorato mentre dorme: conosciamo e amiamo la sua anima irrequieta, quella che al mattino — con un senso di meraviglia — ci porterà verso nuove avventure.
In norvegese esiste una parola — intraducibile in altre lingue — che indica l’euforia che si prova quando ci si sta innamorando. Un turbinio di emozioni, sensazioni, paure, sentimenti, racchiuso in una sola parola: “forelsket”.
A volte, si sa, è una sensazione effimera e passeggera. Non qui: quando sono arrivata a Isegran mi sono resa conto che ogni membro di questa piccola comunità si sente “forelsket” ogni giorno, anno dopo anno.
Qui, ogni albero tagliato, ogni martellata, ogni cucitura, ogni pennellata è un atto di passione, una dimostrazione di un lavoro ben fatto, un atto di amore verso le barche. Quindi, verso il mare e l’umanità che Lui unisce.
Le barche di Isegran sono grandi e pesanti. Manovrarle richiede esperienza, sapienza marinara e forza fisica. Richiede la collaborazione di un equipaggio che sa cosa fare. Ma la fatica viene ricompensata dall’odore del mare che riempie le narici e si appiccica sulla pelle.
I bambini, felici, si arrampicano sulle vele. Ragazze e ragazzi più grandi salgono più in alto, sul sartiame degli alberi. Il vento, sempre più forte, scompiglia i capelli. Tutti hanno quello sguardo tipico di chi si sente libero di volare.
Il mare ingrossa. Sono tutti tranquilli. Sanno che è soprattutto quando — come avrebbe detto Ragnar Lothbrok — ”il dio Thor batte il suo martello sull’incudine”, che la nostra barca ci abbraccia, ci protegge.
E, mentre lei affronta impavida le onde, noi ci fidiamo. Ci fidiamo di lei ma anche di chi l’ha progettata, costruita, riparata, lavorando con grazia. Ci fidiamo di Isegran, la comunità che l’ha ospitata e accudita.
E, quando cala la notte, dopo essere arrivati con sicurezza in una baia protetta, ci lasciamo cullare dolcemente dallo sciabordio del mare che accarezza lo scafo. I norvegesi hanno una parola — anch’essa intraducibile — per descrivere questo suono: “sjybardurn”.
Anche Lei, la nostra barca, necessita di riposo. Guardare una barca riposare è come guardare il proprio innamorato mentre dorme: conosciamo e amiamo la sua anima irrequieta, quella che al mattino — con un senso di meraviglia — ci porterà verso nuove avventure.
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